 Napoli  è un urlo squarcia timpani che sale fino al ciclo. Nel pieno dei  clamori di una festa straripante, di una lunga, interminabile emozione  che sta stringendo a pugno il cuore della città, vale forse la pena  guardarsi un attimo indietro. Già: è questo il campionato dello "sgarbo"  estivo dì Diego, delle polemiche acide sulla condiscendenza di una  società schiava del suo "divette" capriccioso. È questo l'anno dello  "scandalo" col Wettingen in Coppa Uefa: il giallo dello schiaffo al  Pibe, escluso di squadra all'indomani dell'ennesimo intrigo di misteri e  disagi attorno al rapporto tra il calciatore più grande del mondo e la  sua squadra di club. Ed è infine la stagione del crollo col Werder Brema  (benedetta eliminazione dagli scenari europei, si può commentare ora, a  bocce atletiche finalmente ferme!), dei fischi al Napoli "brutto e  impossibile" che non riusciva a ricamare trame spettacolari oltre il  nudo ordito dei risultati. Nei novanta minuti con la Lazio niente più  che un lentissimo conto alla rovescia sono rimbalzati gli echi di questo  immenso calderone di sapori forti, spesso in chiave negativa, che  adesso tutti preferiscono annegare nei fiumi in piena della festa.  Eppure non è il caso, visto che proprio dalla difficile e sofferta  gestione (o non gestione, fate voi) delle vicende più complicate di  questa stagione è nato lo scudetto-bis, l'impossibile diventato realtà.
   Napoli  è un urlo squarcia timpani che sale fino al ciclo. Nel pieno dei  clamori di una festa straripante, di una lunga, interminabile emozione  che sta stringendo a pugno il cuore della città, vale forse la pena  guardarsi un attimo indietro. Già: è questo il campionato dello "sgarbo"  estivo dì Diego, delle polemiche acide sulla condiscendenza di una  società schiava del suo "divette" capriccioso. È questo l'anno dello  "scandalo" col Wettingen in Coppa Uefa: il giallo dello schiaffo al  Pibe, escluso di squadra all'indomani dell'ennesimo intrigo di misteri e  disagi attorno al rapporto tra il calciatore più grande del mondo e la  sua squadra di club. Ed è infine la stagione del crollo col Werder Brema  (benedetta eliminazione dagli scenari europei, si può commentare ora, a  bocce atletiche finalmente ferme!), dei fischi al Napoli "brutto e  impossibile" che non riusciva a ricamare trame spettacolari oltre il  nudo ordito dei risultati. Nei novanta minuti con la Lazio niente più  che un lentissimo conto alla rovescia sono rimbalzati gli echi di questo  immenso calderone di sapori forti, spesso in chiave negativa, che  adesso tutti preferiscono annegare nei fiumi in piena della festa.  Eppure non è il caso, visto che proprio dalla difficile e sofferta  gestione (o non gestione, fate voi) delle vicende più complicate di  questa stagione è nato lo scudetto-bis, l'impossibile diventato realtà. 11  divo argentino capriccioso e insolente, il "mostro" sbattuto un po' da  tutti (non da noi) ad agosto in prima pagina, è tornato d'incanto il  Divino, la magica bussola capace di indicare i traguardi più arditi. Una  volta di più, lo scudetto a Napoli si lega ai riccioli di Maradona,  alla sua straordinaria vena di fuoriclasse in grado di frantumare ogni  ostacolo. Gli ultimi novanta minuti del torneo Diego li ha emblema  ticamente infilati uno a uno nella cruna preziosa del suo sinistro:  finezze tecniche prelibate, assist conditi della maliziosa e sublime  classe dei grandi, una traversa scheggiata su punizione e un paio di  prodezze di Fiori come fondatissimo alibi per il mancato appuntamento  finale col gol. Un Mara-dona strepitoso, così come la sua risorta vena,  che aveva accompagnato i più recenti sussulti tecnici del Napoli. «Ho  avuto coscienza delle possibilità-scudetto della squadra» ha confidato  Bigon in accappatoio, appena riemerso dal bagno dì spumante negli  spogliatoi, «la domenica che perdevamo zero a due con la Fiorentina e  riuscimmo a vincere tre a due: Diego era tornato». Un riconoscimento  onesto, un complimento sentito anche a se stesso: sin dal primo giorno  impegnato a ricucire quella ferita, a comporre quel rapporto di Diego  con la città partenopea che sembrava compromesso. Albertino Bigon fu  assunto nel pieno della bagarre argentina del "Pibe" - continuiamo a  voltarci indietro, ed è una delle curiose sensazioni di questa festa  prorompente, ma non priva di venature malinconiche - : il suo primo  pensiero andò proprio alla possibilità di recuperare un uomo e un  giocatore che senza giri di parole considerava indispensabile agli  equilibri e alle fortune della squadra. Da questo ripescaggio, condotto  anche a costo di ironie e non benevoli apprezzamenti sulla sua  "subalternità" a Diego, Bigon ha preso a tracciare la coordinate della  squadra, a tessere l'ordito che avrebbe alla fine, contro tutto e tutti,  disegnato il secondo tricolore cittadino.
 Il  cuore di Napoli batte forte, per questo bis. È un raddoppio ricco di  almeno un paio di novità rispetto alla prima volta. Intanto, la gioia  esplode con una vitalità quasi inconsulta, grazie alla sua  imprevedibilità: non solo i critici, evidentemente, ritenevano che per  un altro scudetto il Napoli avrebbe dovuto attendere... secoli migliori.  La Grande Delusione dell'88 aveva alimentato uno scetticismo di fondo  che in qualche modo avviliva anche il tifo più genuino e ottimista. Non a  caso l'estate scorsa (ecco un altro dei contraddirteli segni del  destino) la curva degli abbonati subì una pesante flessione, segno della  contestazione del popolo azzurro a una campagna acquisti eccessivamente  "mirata" sulle esigenze tecniche e decisamente poco eclatante. La  scarsa spettacolarità della squadra, raramente dedita a geometrie  convincenti e quasi sempre in sella al cavallo bizzarro delle invenzioni  dei suoi fantastici offensivi, aveva accentuato il senso di disagio del  pubblico. Quando un nuovo sorpasso si è profilato all'orizzonte, con il  Milan nuovamente scatenato come due anni fa in una folle rincorsa, la  sorte è sembrata segnata. Per questo la gioia, oggi, esplode ancora più  sentita. Inoltre, proprio la rivalità col Milan aggiunge pepe al piatto  già piccante della felicità: curiosamente, è proprio Berlusconi il  grande protagonista (evidentemente negativo) degli striscioni giganti  che si inseguono da Forcella a Sanità, nei "caveau" che custodiscono il  cuore più sincero e più amaramente, disperatamente felice della città.  L'orgoglio della vittoria è anche la rivalsa nei confronti dei simboli  di quell'efficienza e quella ricchezza che da una certa Napoli sembrano  così lontane: "Meglio i nostri problemi che la vostra rabbia" sintetizza  un lenzuolo a lettere azzurre a Sanità. E ancora: "Berlusconi 1° a  Segrate, 2° a Napoli". Così come le innumerevoli cappelle funerarie per  il presidente milanista punteggiano di rosso-nero i "santuari" cittadini  del tifo, condendo la vittoria con la spieiata ironia dello sberleffo.  L'onta dell'88, finalmente, è lavata. Le bandiere inneggiami al bis, già  preparate allora e poi mestamente riposte all'ultimo istante, sono  tornate alla luce, mescolandosi coi nuovi stendardi di una felicità  orgogliosa di gridarsi in faccia al mondo.
 In  questo mare mai prima d'ora così azzurro, tuttavia, galleggiano semi  sparsi di malinconia. La squadra sul tetto del mondo ha cominciato a  sfaldarsi proprio nel momento più bello: De Napoli confida nel pieno  della festa di sperare di andarsene, «alla ricerca di nuove esperienze»;  Fusi, diviso tra la gioia del titolo e la delusione mondiale  provocatagli dalla telefonata concomitante di Vicini (che gli ha  comunicato via cavo negli spogliatoi l'esclusione dai ventidue), non  vede l'ora di evadere da una dimensione che ultimamente l'ha visto ai  margini del gioco; Mauro ha spiegato a chiare lettere che a non giocare  si diverte poco e preferirebbe dunque cambiare aria; Corradini, Francini  e Giuliani non hanno nascosto che la freddezza della società potrebbe  rendere inevitabile il distacco. Chissà: lo scudetto, con annessa  prospettiva di Coppa dei Campioni, è un balsamo capace di rimarginare  ogni ferita, di lenire ogni disagio. Però appare quanto meno singolare  partecipare a una festa senza nascondere la voglia di lasciarla al più  presto. Sarebbe un peccato, nel momento in cui Napoli si accinge ad  affrontare con spirito decisamente vincente la massima manifestazione  continentale. «Credo di essere entrato nella storia» ha sorriso Bigon  nella magica sera del trionfo, «ho vinto il cinquanta per cento degli  scudetti del Napoli: se vi sembra poco...». No, non è poco affatto: è  un'impresa straordinaria, messa a segno contro una concorrenza  agguerrita e ostinata. È stato un Napoli forse privo di continuità  spettacolare, ma a tratti irresistibile. A immagine e somiglianzà del  suo inimitabile Diego, ma anche di tutti gli altri componenti della  rosa, capaci tra l'altro, nella fase iniziale orfana di stranieri, di  allungare spavaldamente il passo dei risultati, lanciando quella sfida  che alla fine si sarebbe rivelata vittoriosa. Lo scudetto 2, quello  della "vendetta" sul sorpasso dell'88, è davvero una pagina di storia. E  Napoli, legittimamente in delirio, trasferisce i colori e i rumori del  giorno fino nel buio della notte, nella speranza di continuare a  sfogliarla all'infinito.
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